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E se avesse ragione lui?

E se avesse ragione lui?

Il giorno della ragione sembra finalmente essere arrivato anche per Carlo Ancelotti

Redazione

La vittoria ha moltissimi padri, la sconfitta è orfana.

Lo avrà ben impresso Carlo Ancelotti, che non attende elogi, quando il Napoli scende in campo e fa razzia, né dubita delle sue certezze, quando il vento delle critiche cerca con ogni forza di smuovere le sue idee.

Nessuno è pronto a caricarsi sulle spalle la responsabilità di una sconfitta, ma altrettanto accade quando invece bisogna sedersi al tavolo dei meriti e distribuirli.

C'è sempre un 'però', al quale Carlo Ancelotti ha imparato a non fare caso. Potrebbe dirsi, in tal senso, che abbia già trovato l'antidoto alla pressione napoletana, che aumenta vertiginosamente all'accrescere del valore e delle potenzialità della squadra.

D'altronde mentre per i mediocri si può chiudere un occhio, è dai migliori che ci si aspetta con severità un compito impeccabile.

Seguendo esclusivamente la scia della propria esperienza e guardando con sincerità alle reali possibilità che la rosa del Napoli possiede, Carlo Ancelotti ha ascoltato le voci, che insistentemente hanno preteso di snaturarlo e di ritornare al sarriano (oramai si dice così) 4-3-3, e in occasione della sfida contro il Torino ha presentato in campo la sua squadra con un ben più caro (a lui) 4-4-2.

Ma non finisce qui. In una sola volta tira fuori i polacchi Milik e Zielinski per lasciare spazio all'inedito ma tecnico Rog e restituire una chance al talentoso Simone Verdi. Una scelta coraggiosa nel giorno in cui sei obbligato a vincere. Se poi fai a meno anche di Allan, sorge il dubbio che sia anche leggermente imprudente.

Ma Ancelotti gode del dono dei vincitori: ha già misurato i propri limiti e sa fin dove può spingere la sua rivoluzione. Il problema, forse, è che nessuno si era davvero reso conto fosse già iniziata da un po', confondendo i numerosi scambi e cambi con la confusione.

Certo, il Torino di Mazzarri lascia a disposizione del Napoli ogni spazio per concretizzare le idee preparate dagli azzurri in settimana. Tuttavia la sensazione è che, se anche i granata avessero fatto muro, la fantasia di Mertens e Insigne l'avrebbe comunque abbattutto.

Insigne, sì. Pare essere a tutti gli effetti lui l'uomo a cui Ancelotti ha deciso di cambiare il destino, consegnandogli la virtù del goleador. L'ha sempre avuta, ma non sempre l'ha riconosciuta a sé stesso.

Il primo tempo di Torino-Napoli è stata la prima edizione del manifesto azzurro del calcio di Ancelotti: il centro-sinistra del campo è, grazie alla presenza di Verdi, il presidio di ogni idea produttiva. Insigne lascia spesso all'ex Bologna la possibilità di accentrarsi da 9, mentre lui arretra a centrocampo. Un continuo cambio di posizioni che non dà punti di riferimento, se non il dialogo continuo del napoletano con il compagno Mertens.

Il Napoli rinuncia al suo vecchio cavallo di battaglia, il possesso palla, e predilige tocchi rapidi e verticalizzazioni. Sono così 5 le occasioni da rete del primo tempo, con due gol al seguito.

Cala il ritmo nella seconda frazione di gioco e Ancelotti non può far a meno di richiamare la copertura inserendo sia Zielinski che Allan.

La gestione del gioco e la calma: questo è uno dei nuovi mantra, sconosciuto fino alla scorsa stagione. L'altro Napoli, per così dire, non aveva antidoti all'adrenalina.

Ancelotti ha avuto ragione: la vince lui la sfida del Napoli a Torino, con i granata che poco hanno fatto per impedirglielo.

Ma a sorprendere chi aveva già smesso di sperarci, è che gli azzurri di Carlo hanno anche divertito.

Un binomio di fattori che fa ripensare subito a Sarri, perché l'abbiamo già detto che la vittoria ha tantissimi padri. Ma la verità è che delle memorie passate poco o niente si ritrova.

E' un Napoli di ingredienti ancora da impastare, ma ha seminato a Torino il primo dubbio per i nostalgici: e se il Teatro-Napoli non avesse calato il sipario ma solo cambiato direttore artistico?

di Sabrina Uccello

FOTO SSCN

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