Calcio Napoli 1926
I migliori video scelti dal nostro canale

rassegna

Lo scudetto che ha archiviato la storia: il successo di De Laurentiis e Spalletti

Lo scudetto che ha archiviato la storia: il successo di De Laurentiis e Spalletti - immagine 1
Il noto giornalista Alessandro Barbano nel suo editoriale per Il Corriere dello Sport ha voluto celebrare il tricolore azzurro
Sara Ghezzi

Il sogno è diventato realtà il Napoli è campione d'Italia. Un campionato che è stato vinto dominando grazie al lavoro praticamente perfetto di Luciano Spalletti. Ieri la città è esplosa dal gol di Osimhen in poi e i quotidiani oggi sono tutti per gli azzurri che con merito hanno riportato il tricolore al sud. Il giornalista Alessandro Barbano nel suo editoriale per il Corriere dello Sport ha parlato proprio degli azzurri e della gioia di una città che ha atteso troppi anni. A seguire quanto evidenziato dalla www.

Lo scudetto che ha archiviato la storia: il successo di De Laurentiis e Spalletti

—  

"Sul campo lo scudetto nasce da un reset sportivo. Vuol dire anzitutto la dismissione di una leadership, quella di Lorenzo Insigne, che pure aveva caratterizzato un decennio, ma anche il ricambio di pedine importanti come Koulibaly e Fabian. E la scommessa su atleti in gran parte nuovi, portati a Napoli con una logica manageriale che implica visione, intuizione, organizzazione e, soprattutto, ricomposizione di un gruppo coeso e solidale. L’ho già definita in questi giorni una manifattura, che mescola sapientemente, come le migliori imprese moderne del fare, scienza e artigianato. Dove la scienza sta nel sapere, e l’artigianato nel coraggio, cioè nella capacità di imprimere alla fisiologia di un processo un quid personale, che può portare a un approdo inusitato.

La scienza e l’artigianato stanno allo stesso modo nei due principali protagonisti di questo successo, Aurelio De Laurentiis e Luciano Spalletti. Il primo intuisce che la vecchia squadra costruita per puntare al traguardo non è adeguata e si assume la responsabilità di dismetterla. Dismette la squadra, ma soprattutto la matrice identitaria su cui si fonda, cioè l’idea che il successo raggiunto da Maradona possa ripetersi attraverso protagonisti che, sia pure a un diverso livello, ne emulino il gioco. Insigne è e si pretende una copia, ancorché non fedele, di Dieg. Non avrà mai la pretesa di indossare la sua «numero 10», ma conquista a suo modo il pubblico napoletano con una tecnica di scuola maradoniana. Lo stesso tiro a giro sembra un lascito generazionale che l’impareggiabile argentino ha consegnato allo scugnizzo di Frattamaggiore. Licenziare Insigne, perché nella sostanza di questo si è trattato, ha voluto dire liberarsi di un’eredità, che è insieme sportiva e simbolica. Maradona, che nel frattempo ha concluso la sua avventura terrena, si è eternato come mito. Ma sul suo santuario laico si festeggia oggi uno scudetto che ha archiviato una storia". 

Il coraggio di Spalletti

—  

"Il coraggio di Spalletti sta nell’aver assecondato questa delicatissima transizione, facendo sua la scommessa del presidente, dopo aver visionato il video di un ventunenne georgiano sconosciuto alle cronache sportive. Accettando di sostituire Insigne con Kvaratskhelia, ha adoperato, anche se all’incontrario, la stessa pervicacia che lo indusse anni fa a tenere fuori squadra Francesco Totti contro il parere di tutti. Matteo Renzi, nel suo esordio da direttore sul Riformista, ha svelato il retroscena di una cena da lui organizzata a Palazzo Chigi con il tecnico toscano, su insistenza del suo ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, il quale da sfegatato tifoso romanista perorava la causa di una maglia da titolare all’ormai attempato pupone. Spalletti resistette alle sollecitazioni, non irrilevanti, dell’ambiente capitolino e in un certo senso perse la scommessa di Roma. A Napoli l’ha vinta, usando lo stesso coraggio. Non per resistere, ma per rischiare. Convincendosi una volta di più che solo una cosa sopravanza, nella coscienza di un leader, il desiderio di vincere: l’idea di guardarsi allo specchio e riconoscersi. 

Anche la città ha perso una scommessa con il Paese, trasformando la sua subalternità e il suo isolamento in una condizione quasi insulare. Ma ha vinto, almeno in parte, la sfida con la modernità, grazie alla sua unica capacità di accogliere e darsi all’ospite, diventando la meta preferita del turismo mondiale. Dalla mia, mai dismessa, veranda virtuale, lo scudetto appare parte di questa sfida. Sempre meno indennizzo per i torti subiti, sempre più proiezione verso il futuro. Non lo porta in dote un campione, mezzo uomo e mezzo dio, che s’intesta il riscatto degli ultimi, ma è un’opera collettiva dell’ingegno e del sacrificio. Per questo, forse, arriva per restarci".