Caso Juventus, dopo il terremoto che ha decapitato la dirigenza bianconera, a John Elkann servirebbe ripartire con l'aiuto di un partener finanziario che restituisca credibilità e forza al gruppo
rassegna
Caso Juventus, a John Elkann servirebbe un partner finanziario credibile
Il caso Juventus, dopo le dimissioni dell'intero CdA e del Presidente Andrea Agnelli, continua a tenere banco sui quotidiani nazionali
Puntuale, come sempre, l'analisi di Alessandro F. Giudice, analista economico del Corriere dello Sport. Ecco quanto evidenziato da CalcioNapoli1926: "Dal 2010 al 2019, finché il titolo cresceva fino a moltiplicare il valore dell’azienda, dai 75 a 1700 milioni, vincendo pure scudetti in serie senza chiedere soldi agli azionisti (raro esempio di vittorie e sostenibilità) anche i freddi custodi della finanza accettavano il patto col diavolo del tifo. Juventus era un buon investimento, non solo la squadra di famiglia. Certo qualcuno poneva sempre il problema dell’uscita perché il valore di un’azienda resta teorico finché non si vende. Però la domanda “si venderà mai la Juve?” restava sullo sfondo mentre il titolo saliva e il club volteggiava nel firmamento del calcio europeo. L’aumento di capitale 2019 (300 milioni) fu ancora sulla spinta della crescita: investiamo per sostenere e rafforzare un business di successo. Invece quello del 2021 (400) servì a coprire una falla. Ora vengono al pettine i nodi di una gestione penalizzata dalla hybris, la superbia dei potenti, ma anche da errori indiscutibili che il Covid ha reso vistosi. C’è da ridimensionare, riequilibrare, razionalizzare. Portare in equilibrio i conti, dimostrare anche al mercato che il business può tornare sano. Ora può tornare utile la partnership con un fondo a cui cedere anche quote rilevanti importando competenze gestionali e spingendo i ricavi internazionali. Un RedBird del caso, insomma. Magari mantenendo la presenza della famiglia ai vertici e quella di Exor con una partecipazione ancora rilevante. Non sarebbe una novità assoluta: l’Avvocato lo fece coi libici, negli anni ’70, quando serviva rafforzare la Fiat. Poi in Juventus, molto più tardi, assecondando per convenienza la passione del colonnello. Ora ci vuole un partner diverso, più sofisticato dei libici perché non servono soldi ma programmi, disciplina gestionale, idee. Un ex dirigente bianconero mi ha detto che il salto nel buio degli investimenti eccessivi (Higuain, CR7 ecc.) fu deciso quando si capì che i ricavi non potevano crescere più dei 400-450 milioni e perché Torino non è Milano, tanto meno Londra o Parigi. Forse ora servirebbe qualcuno capace di portare la Juve su palcoscenici più internazionali, lavorare sui ricavi ma intanto, con la presenza di un player finanziario esterno, giustificare ai tifosi anche un netto cambio distrategia".
© RIPRODUZIONE RISERVATA