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Il senso di coppa

Il senso di coppa

Lo 0-2 e l’atteggiamento rinunciatario della squadra al Wanda, il cholismo declinato all’imperfetto e le esigenze del calendario, l’all-in dell’estate (Ronaldo) e le ambizioni internazionali mai nascoste dalla...

Redazione

Lo 0-2 e l’atteggiamento rinunciatario della squadra al Wanda, il cholismo declinato all’imperfetto e le esigenze del calendario, l’all-in dell’estate (Ronaldo) e le ambizioni internazionali mai nascoste dalla proprietà hanno trasformato l’infinita vigilia del ritorno di un ottavo in una sorta di preparazione emotiva a una finale Champions.

Tre settimane difficilmente dimenticabili nelle quali le partite di mezzo, le poco esaltanti prestazioni di alcuni top (lo stesso Ronaldo, Mandzukic, Matuidi) e gli infortuni non hanno certamente raffreddato il clima intorno ad Allegri, prima che alla squadra; Allegri che con apparente noncuranza ad ogni domanda sull’importanza del passaggio del turno ha puntualmente risposto versando ettolitri di acqua gelida: “Se non dovessimo farcela non sarebbe un fallimento, è solo una partita di calcio”; “non abbiamo l’obbligo della vittoria, se sbagliamo ci rifaremo l’anno prossimo, e poi scrivete un po’ quel che vi pare”. Parole che non hanno raggiunto la pancia dello juventino per il quale la Champions è - sì - molto più che un’ossessione.

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La coppa dalle grandi orecchie che non ci sentono da ventitré anni è infatti il pensiero unico, entra in ogni discorso. Certo, l’ottavo scudetto di fila è un altro pezzo di leggenda, sublimazione della superiorità interna, ma se provate a parlare col tifoso lo trovate tormentato da un solo obiettivo, sempre lo stesso.

“Mi nacque un’ossessione” scrisse Alda Merini “e l’ossessione diventò poesia”. Per lo juventino la Champions non è più poesia ma prosa, qualcosa di materiale, ragione di vita; per la società la conclusione di un percorso di crescita internazionale che è diventato anche il traguardo personale di Andrea Agnelli, ormai padrone di un mondo e di un metodo, il quale guida una Juve che nel tempo si è considerata sempre meno italiana e sempre più mondiale.

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Da noi fa vita a sé.

I trecento e passa milioni per portare Ronaldo a Torino sono stati spesi proprio per rendere mondiale il marchio: per arrivare alla Champions attraverso lo specialista, il campione in grado di cambiare il corso della storia.

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