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Juve-Roma attraverso gli occhi di Anastasi: «La differenza è la mentalità»

Juve-Roma attraverso gli occhi di Anastasi: «La differenza è la mentalità»

«Ne ho parlato perché non c’è nulla di cui vergognarsi. Quella contro il tumore è una battaglia che purtroppo stanno affrontando tante persone. Quando vado alla visita e vedo dei ragazzi di trenta,...

Redazione

«Ne ho parlato perché non c’è nulla di cui vergognarsi. Quella contro il tumore è una battaglia che purtroppo stanno affrontando tante persone. Quando vado alla visita e vedo dei ragazzi di trenta, quarant’anni nelle mie stesse condizioni capisco di essere stato fortunato. Io di anni ne ho settanta, ormai, la mia vita l’ho vissuta ed è stata una bella vita, ho avuto tanto. Sia chiaro che non ho alcuna intenzione di dargliela su, in questi giorni sto abbastanza bene anche se mi stanco facilmente. Sta meglio anche mia moglie Anna che la sua disavventura l’ha superata».

«Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona» diceva Jung, e Pietro Anastasi ha sempre donato agli altri, talvolta inconsapevolmente. «Anche quando giocavo: ero un centravanti che lavorava per la squadra, ero moderno già allora. Mi rivedo in Dybala». All’inizio della telefonata mi aveva chiesto di non farlo parlare troppo per non affaticarlo ma poi, quando stavo per salutarlo, mi ha invitato a proseguire «perché parlare di calcio mi piace, mi distrae. Seguo tutto, come ho sempre fatto». Non è mai stato difficile raggiungere l’isola di Pietro traversando il mare della riservatezza e del pudore di un uomo serio e perbene: straordinaria la sua inclinazione a semplificare ogni cosa, ogni momento, ogni verità. Pietro, U Turcu, l’essenza dell’umiltà: «Famiglia di operai, eravamo in nove, da ragazzino giocavo nell’oratorio, ma mi arrangiavo per dare una mano ai miei, facevo l’aiuto idraulico, il ciabattino, ero bravissimo a ricucire le suole delle scarpe, ogni tanto anche le consegne per una macelleria».

Con Anastasi ho diviso qualche studio televisivo apprezzandone la franchezza, il carattere, la concretezza: mai una concessione alla fantasia. «La gente mi vuole bene forse perché sono sempre stato corretto e leale. (Si interrompe, riprende). Da quando si saputo della malattia alcuni mi trattano come se fossi un divo, una specie di supereroe, francamente non capisco il motivo, mi sembra tutto così eccessivo: vivo la condizione di tante persone, non c’è nulla di eroico in quello che faccio. Mi curo, lotto... Sarà un modo come un altro per mostrarmi vicinanza, affetto. Ma parliamo di pallone, dài».

Ti ho cercato per Juve-Roma.

«Ricordo un 2-2 con due miei gol».

Io un 3-2 per la Roma, nel ’74, sempre con una tua doppietta.

«In quel periodo le distanze tra le squadre erano ravvicinate, non come adesso. Oggi la Juve ha 46 punti e la Roma 24, e se domani la Juve vince la doppia; è incredibile, dopo sole 17 giornate. La differenza te la spiego io, si chiama mentalità. Anche la Juve ha attraversato dei momenti in cui effettivamente era e si sentiva perdente, ma negli ultimi otto anni è via via cresciuta sbagliando pochissimo sia in campo sia fuori… Insieme all’Inter questa Roma è la delusione del campionato». Corriere dello Sport.